UROBORO
Uroboro è la ripetizione di una situazione che si presenta uguale alla precedente, ridondante nel suo significato, che perde ogni tipo di consono ragionamento.
Uroboro è un evento che non viene assimilato completamente, da cui non si riesce a trarre nessuna conclusione o lezione.
Uroboro è banale, privo di ogni originalità, una copia di schemi comportamentali attuati in modo tale da salvare il singolo da un quadro inospitale.
Uroboro è scabro. Racconta una storia comune che non ha bisogno di spiegazioni perché ha luogo negli archetipi del sapere comune; lascia spazio all’idea del singolo individuo senza invadere i pensieri con parole futili.
Uroboro è un serpente che si morde la coda, si rincorre e non pone mai una fine a sé stesso; continua a ripresentarsi e a provocare uguali ma nuove situazioni. Nelle immagini fluiscono gesti naturali, evidenti, ma nascosti alla consapevolezza; vengono dimenticati per poi essere rivissuti con lo stesso controsenso.
Uroboro è un progetto fotografico nato all’inizio del 2020, che sfrutta la tecnica dell’autoritratto per indagare e capire gli aspetti più ridondanti all’interno delle relazioni intime tra umani.
La creazione di Uroboro è stata un’evoluzione graduale. Inizialmente i corpi sono coperti, le fotografie realizzate con luce naturale e i gesti più dolci. Andando avanti con il lavoro hanno iniziato ad emergere dinamiche scomode che hanno trasformato il linguaggio.
Nelle mie fotografie sono state espresse situazioni di disagio che mi hanno segnata come persona e cercare di metabolizzare delle esperienze vissute nel passato è stata la parte più difficile. Ma questo passaggio era necessario.
D’altra parte, ritengo che le fotografie parlano di situazioni che vengono vissute e che non hanno bisogno di spiegazioni perché sono di facile interpretazione. Sono dinamiche che si creano in ogni rapporto, motivo per cui Uroboro non dev’essere legato ad una singola interpretazione, ma ne deve averne multiple che provengono da più luoghi del nostro sapere.
Infatti, il libro permette di essere scomposto e assemblato più volte, proprio per soddisfare questa esigenza di linguaggio.